Sono tornato, ciao.
Buongiorno , amici di facebook! Sito nuovo vita seminuova. ... continua
Non sono stato un attore, non sono stato un comico, neppure un autore e forse neanche uno scrittore. Sono un calabrone che non dovrebbe volare e invece vola. Scrivo per la tv e non la guardo. Non perché la snobbo, ma perché mi dimentico.... continua
Lavoro e ho lavorato per comici importanti ma frequento poco agenti produttori o funzionari in quanto mi ritengo poco adatto ad articolare strategie o politiche. Scrivo e basta. Non conosco quasi nessuno dei miei colleghi autori televisivi se non per qualche rara eccezione.
Da molto tempo mi guadagno da vivere così, negli ultimi anni l’ho fatto lavorando da casa, e adesso, grazie ai social e alla posta elettronica, posso permettermi di lavorare da dove mi pare.
Questo è il lusso della mia vita, che mi fa ritenere di essere stato parecchio fortunato.
Per una serie di ancora più fortunate circostanze poi, nell’arco del mio percorso professionale ho avuto la ventura di schizzare via appena in tempo prima che il mondo in cui vivevo e lavoravo venisse ingoiato.
Così è stato per il teatro, che ho abbandonato all’inizio degli anni novanta e che poco dopo è precipitato in una agonia senza fine.
Poi ho scampato la trasformazione della Radio, quella nazionale, che fino agli anni novanta produceva programmi in cui c’era spazio per la parola, quella scritta, e non solo per le chiacchiere.
E adesso sto scivolando via dalla Tv generalista, per cui lavoro ancora ma con una mansione di nicchia.
E sospetto che anche questa, la tv generalista intendo, stia per implodere. O sia già bella che implosa.
Scampo dunque appena in tempo dalla torre che sta per crollare, non per sagace intuizione, ma di volta in volta per un colpo di fortuna.
Proprio come si vede nei film di avventura, quando l’eroe corre e sfugge a mille insidie mentre tutto intorno crolla e il terreno frana sotto i suoi piedi.
Ora, morta che sarà a breve la tv generalista, non resterà più molto da schivare, ma per fortuna non mi resterà neppure una eternità di tempo da vivere.
Il mio futuro, oltre a stare vicino ai miei figli, occuparmi di chi mi sta accanto, andare a pesca, percorrere boschi e montagne appena posso, concedermi ancora qualche giro in canoa, e soprattutto starmene lontano dalla città, è scrivere. E scrivere nella libertà più ampia e incosciente.
FAVOLA SPLATTER, che uscirà nel 2018, ne è il risultato.
Ma scrivere storie su carta porta anche un gran vantaggio. Nella parola scritta non c’è nessuna mediazione, nessun filtro, nessun comico che dica male le battute, nessun attore che interpreti male il ruolo, nessun produttore che voglia modificare la storia con capacità creative che spesso non ha. E neppure nessun regista che modifichi l’atmosfera immaginata dall’autore. Scrivere un romanzo porta diritto a colui per cui è stato pensato: il lettore. Diritto e filato. Nel bene e nel male.
Una buona recensione aiuta la voglia di leggere un libro. Ma chi scrive questa recensione, sarà credibile? Voglio dire: ci si può fidare, di uno che per lavoro legge libri? E inoltre: chi conosce il libro meglio dell’autore? Nessuno. Così ho pensato di recensire da me i libri che ho scritto. Li so bene. Qualcuno non è all’altezza degli altri, lo dico subito per dimostrare che sarò censore sincero e lettore esperto.
Per una combinazione di eventi magica e straordinaria il desiderio di una bambina si avvera. Ma c’è un però. La spazzatura di tutto il mondo prende vita e la bambina con i suoi genitori è in pericolo. Un horror per ragazzi e bambini. ... continua
Volete sapere cosa si dicono e cosa succede a due salmoni che decidono di affrontare il loro viaggio di nozze? Un libro scritto con Armando Quazzo. Si ride e si scoprono un mucchio di cose vere curiose e misteriose sulla vita dei salmoni. Un avventura leggera e divertente. ... continua
Capulavur. Sembra ed è una fiaba, ma fa ridere l’adulto che la legge. Tutto comincia con uno scrittore, me medesimo, che si mette d’accordo con un illustratore per scrivere insieme una fiaba in una notte.... continua
I due non si parlano se non via mail. E litigano a cominciare da subito perché l’illustratore per motivi suoi non disegna ciò che lo scrittore gli suggerisce ma altro. La fiaba va avanti lo stesso anche se fra battibecchi e dispetti che i due, autore e illustratore si fanno. Ed è una fiaba che parla del tempo che abbiamo da vivere. Scritta in soli tre mesi venduta alla Bompiani dopo solo tre giorni. Consiglio la lettura a genitori e figli insieme. Le recensioni su Amazon vi confermeranno che è una fiaba riuscita bene.
È un romanzo che abbiamo scritto insieme, mio figlio e me. Parla di una Milano futura e penso sia scritto bene. Fa paura, perché racconta di un futuro che già stiamo vivendo.... continua
Molta azione, a tratti violento, sempre ironico. Le recensioni dei blogger sono state entusiaste siatelo anche voi. Siate folli siate affamati di questo romanzo.
Ha venduto bene, sarà perché non è male, sarà perché Marcella Meciani, la ex direttrice di “Mondolibri” è un genio. Il libro mi piace. Ancora adesso se lo sfoglio mi diverto.... continua
Se avete figli da zero a diciotto anni oltre a riconoscervi potrete usarlo in alcuni suoi capitoli come manuale.
Ogni capitolo di “Scemo come tuo padre” tratta un momento saliente della vita di genitori e figli. Ma soprattutto declina una verità: chi ha figli, spesso torna indietro nel tempo e inconsciamente rivive il suo passato di bambino. Un passato che è dietro l’angolo, anche se risale a trenta quaranta cinquanta sessanta o settant’anni fa. Passato che sembra sopito e che invece quando nasci e cresci un figlio a un certo punto risbuca fuori. Un passato fatto di frasi dimenticate, e che solo i tuoi genitori usavano con te. Abitudini o scoperte apparentemente sepolte dalla vita di adulto, con un figlio si ripresentano in tutta la loro smagliante bellezza.
Il peggiore. Si poteva fare di meglio e di più. Un libro scritto su commissione della Mondadori. L’idea era scrivere, con il solito stile, un libro sul rapporto di coppia. Eccolo. ... continua
Ci sono cose interessanti, ma tutto sommato non vale la pena. Il titolo non l’ho scelto io, ma gli editor. Ho provato a contrastare la scleta di un titolo da me non gradito ma non sono stato capace di proporre di meglio. Chissà, ve ne metto un saggio. Ora vado a spulciare. Anzi no.
Farò di peggio. Pubblico qui sotto la recensione , scritta da me, per “La Nazione”. Già. Chiesero a me di fare la recensione del libro in occasione di una presentazione se non mi sbaglio ad Arezzo, ed ecco cosa inviai.
Apri la recensione
Lo leggerei. Niente di speciale, il suo pregio è che è formato da capitoli brevi che si leggono in fretta e non obbligano a ricordare alcuna trama. Ogni capitolo è dedicato a una delle piccole “prigioni” in cui noi stessi ci cacciamo di nostra propria volontà, e che ci rendono meno gradevole la vita.... continua
E leggendolo ogni tanto si ride. Almeno, io che l’ho scritto ho riso parecchio e così mi dicono di aver fatto molti di quelli che lo hanno letto a loro volta.
Naturalmente quelli a cui non è piaciuto non si sono fatti vivi, ma non ne escludo l’esistenza.
L’intenzione con cui l’ho scritto è la stessa di “Scemo come tuo padre” e di “Perché le donne credono nel colpo di fulmine e gli uomini nel colpo di culo” , libro quest’ultimo dal titolo agghiacciante e di cui vi racconterò da qualche parte l’esegesi.
E per tutti e tre questi libri l’intenzione è sempre la medesima. Osservare, dire la verità nella maniera migliore di cui sono capace e poi, magari, aggiungervi qualcosa di mio.
Adesso, a distanza di anni, spunti per aggiungere altri capitoli a “Le zanzare sono tutte puttane” ce ne potrebbero essere assai. Ma al momento mi diverto di più ad occuparmi di altro, per cui se appena se ne avesse la voglia, consiglio la lettura di questo volume, intanto, perché un altro non so se lo scrivo.
Il titolo avrebbe dovuto essere “Con stivali di gomma nell’arcobaleno”, o almeno così avrei desiderato. L’editore invece lo ritenne ermetico e difficile, e forse aveva ragione, ma “È finita la benzina” come titolo a me non piace. Il romanzo invece sì.... continua
L’ho scritto dopo essermi rotto la spina dorsale in Corsica cadendo in montagna, e dovendo stare per forza sei mesi pressoché immobile, scrivere un libro mi era sembrata una bella idea per passare il tempo senza rischio di farmi male ancora.
La storia si svolge in un aeroporto, siamo in un futuro prossimo, e racconta del giorno in cui nel mondo finisce la benzina davvero. Nel libro sono descritte le avventure di un gruppo di passeggeri e di una hostess in un aeroporto ormai inutile, quando tutto intorno nascono i primi disordini che preannunciano un cambiamento di abitudini e di vita epocale.
Amici lettori: sarò sincero: per metà del libro non succede niente o poco. E non è una bella cosa. Ma ci sono parecchi dialoghi divertenti, i personaggi sono interessanti e parecchi dettagli sulla vita nel prossimo futuro hanno un loro perché. Poi la storia parte, e ritmo e azione non mancano.
Inoltre leggendo questo libro c’è modo di fare un gioco interessante. Scoprire quante delle cose immaginate nello scrivere la storia sono in seguito accadute davvero nella realtà. Ve lo dico subito, parecchie.
È il primo libro che ho scritto, e che in realtà non è altro che una raffica di sketches che raccontano i battibecchi di una ipotetica coppia, scritti per radio DJ e interpretati da me con Luciana Littizzetto.... continua
Certo, gli sketches sarebbero da sentire, sono molto belli, ma anche da leggere ci si riconosce e fanno ridere. Dovessi dire cosa manca a questo libro, è un po' di contestualizzazione. Di contorno. Di descrizione dei personaggi. Ma ero alle prime armi come scrittore, adesso sono alle seconde. Se arrivo alle terze armi divento bravo come Fabio Volo e vendo un mucchio di libri. Andate a cercare questo “Finché matrimonio non vi separi”, allora, orsù. Vi è descritta ogni situazione in cui una coppia può venire a trovarsi. Quasi quasi metto un esempio: IL SILENZIO DI NOTTE.
Luciana e Beppe, cittadini abituati solo alla città, passano una notte in una casa di campagna.
Rumore di grilli.
Luciana Che silenzio di notte in campagna…si dormirà benissimo...
Beppe È bello perché è un silenzio pieno di rumori. Lo senti? Il cane in lontananza…la campana….
Luciana Senti il vento….
Beppe Il rosmarino….
Luciana Senti il rosmarino?
Beppe No così…era per…così…
Luciana Ou? Dì? Sei tu?
Beppe Eh?
Luciana Sei tu?
Beppe Sono io, sono me. Sono qua, sono me, certo. Sì.
Luciana No dico, sei tu che fai quel rumore?
Beppe Quale.
Luciana Senti.
Beppe Sento niente.
Luciana Sento un rumore fuori.
Beppe E allora come facevo a essere io!
Luciana Potevi essere tu che fai un rumore dentro, che sembra che sia un rumore fuori.
Beppe Minchia! Sono un ventriloquo di rumori!?
Luciana Stt….lo senti, adesso?
Beppe Sì.
Luciana Cos’è!
Beppe Un facocero.
Luciana A cento chilometri da Pisa?
Beppe Ho sonno.
Luciana Sento rumore di foglie smosse, senti, è qualcuno che ha perso qualcosa….
Beppe Un cane. Un cane a cui son caduti i coglioni a sentirti, e adesso li cerca.
Luciana Fatti furbo.
Beppe E non li trova. Senti come cerca?
Luciana Ssst….È andato via. Che silenzio.
Beppe Notte.
Luciana Beppe? Sento uno sgambettamento in testa.
Beppe Uno?
Luciana Sgambettamento. Deve essere un tipo mille piedi perché sembra le folie bergere. Sento tante gambine. Dove vai?
Beppe A dormire nella vasca da bagno.
Luciana A ecco. Per il cane che cerca le palle allora allarme, ma se io in testa ho la fanfara dei bersaglieri te ne freghi. Tanto…
Beppe Dormi!
Silenzio. Poi, un cucù attacca a cuculare
Luciana Sei tu?
Beppe Sì, per diletto alle quattro di mattina mi premo le palle e fanno cucù come i pupazzi di gomma. Ma pensa te.
Luciana Che silenzio, adesso, però. Lo senti?
Beppe No. È silenzio, e per la natura sua non si sente. Lo dice la parola.
Luciana Non si sente niente, adesso. Niente.
Beppe Silenzio proprio.
Luciana Pure troppo.
Beppe Che silenzio.
Luciana Si dorme proprio bene.
Beppe Benissimo, si dorme.
Luciana Che bel silenzio pieno.
Beppe Ahhh….sì.
Luciana Nel nulla così.
Beppe Sì.
Luciana Eh.
Beppe Mah.
Luciana Minchia.
Beppe Eh.
Luciana Bello.
Beppe Bello bello.
Luciana ………………………fai un favore?
Beppe Dica.
Luciana Mi vai in macchina a dare due colpi due di claxon? Ho paura che non riesco a dormire se no.
Avventure di canoa di pesca e di animali. Come tanta altra gente al mondo ho un libro nel cassetto. L’ho scritto per me, non ho ancora pensato di proporlo a un editore....e quindi ve lo regalo!!... continua
E’ un libro di racconti brevi. Meno di cento pagine, che si possono magari in un successivo momento ampliare. E però, per festeggiare l’apertura di questo sito, lo regalo in prima visione a chi volesse leggerselo.
Anche perché. Se qualcuno poi avesse voglia di commentarlo mi farebbe cosa gradita.
Parla di avventure, alcune con risvolti incredibili, accadutemi nei miei tentativi di trovare quegli angoli di natura selvaggia che qui in Italia sono diventati rari. Avventure molto molto particolari, ma tutte vere.
Per poterlo leggere fate così:
compilate il form sottostante e vi mandarò il link con il pdf inedito da scaricare.
Forse si trasformeranno in qualcosa prima o poi o forse resteranno solo brevi racconti, poco più di immagini raccolte qua e la nel mio viaggio
Tutti la conosciamo bene, e fin da bambini, abbiamo avuto a che fare con l’ultima ciliegia. Magari non era proprio l’ultima ciliegia, poteva essere anche una susina o una castagna, una fragola o un’albicocca o anche una nocciolina.... continua
Comunque un frutto, di piccole dimensioni, di quelli che si mangiano a raffica.
Bene. Per quanto fosse grande un cartoccio, per quanto fossero tante le ciliegie, l’ultima, era sempre quella schifosa.
Le castagne, per esempio, le caldarroste. Dove giace, il lombrico cotto, se non nell’ultima, più grassottella delle castagne che, passeggiando sgranocchiamo sotto i portici? E’ sempre stato, e sempre sarà così.
Per tutti noi.
Per tornare alla ciliegia. Si può pensare che l’ultima sia la peggiore perché sta sotto, in fondo al cartoccio.
Si può pensare che la verduriera l’abbia messa per prima e poi l’abbia coperta con quelle migliori. No.
Provate, cominciate dal fondo, da metà. Comunque sia è l’ultima, la ciliegia che sa di saponetta.
Sono stati fatti dei sondaggi, dei test. E si è scientificamente provata l’ineluttabilità della legge dell’ “ultima ciliegia”.
Uomini, che si credevano saggi, arrivati agli ultimi due lamponi, buttavano l’ultimo avventandosi su quello che veniva da loro considerato il penultimo. Stolti. Se anche lo fosse stato davvero, il penultimo, a tutti gli effetti ora era diventato quello finale, acquistandone tutte le proprietà nefaste e perniciose.
Non c’è pietà né scampo, dall’ultima ciliegia. Tanti bambini son saltati in aria con l’ultima albicocca. Il vino che si è bevuto per cancellare il rancido dell’ultima nocciolina americana, basterebbe per ricoprire le risaie della Cina e far crescere il riso in carpione.
Il sapore, dell’ultima ciliegia, o fragola, o lampone, è infernale.
Si sente in bocca il gusto dell’insetto che ci ha svernato dentro.
Ho davanti agli occhi l’immagine dell’ultima noce. Quando riapro le mani, dopo averla schiantata sotto la pressione dello schiaccianoci e appaiono, nei due gusci, le rovine fumanti di Dresda e Berlino nel ‘45. Non è raro il caso, per quanto riguarda le noci, che la polpa dell’ultima sia sana e gustosa, ma che per qualche fin troppo spiegabile ragione, il guscio sia sottile come un’ostia e che, premendo lo schiaccianoci, si ottenga subito un impasto difficilmente districabile di polpa e guscio.
Pare che una volta, solo una volta, venne afferrata, con trepidante orrore, una nespola dal fondo del sacchetto; e venne assaggiata, con rispetto e trepidazione, da un uomo di coraggio. Buona. Fu assaggiata da professori e luminari. Ottima. Purtroppo l’entusiasmo si affievolì quando fu scoperta, in una piega del sacchetto, la vera ultima, obbrobriosa solo a vedersi. Un merlo se ne nutrì e si distrusse in cielo.
No no, non c’è scampo. Dall’ultima ciliegia non si scappa. E la sera qualche volta mi capita di pensare come i giorni della nostra vita si susseguano come le ciliegie. Uno dopo l’altro, fino all’ultimo.
Sospetto che anche di quello il sapore non potrà essere un granché, eppure, come succede ai pranzi importanti, in cui sputare il boccone che non ti va è impossibile, bisognerà far finta di apprezzare, e mandarlo giù.
Dodici aprile 1994 ore 21 e 30
Messi a letto i ragazzi “babbo”, come mi chiamano loro, pensa. Quando si è padri a volte ci si confronta con gli altri papà. Ce ne sono di importanti, dal papà di Agassi ad Abramo, e uno a volte prova col pensiero a mettersi nei loro panni. Quella sera pensavo a uno dei più famosi, uno di quelli raccontati da Gesù. ... continua
A me le storie di Gesù piacciono. Le nozze di Cana, lui che da piccolo fa un uccellino di creta e lo fa volare, Lazzaro che è morto e lui lo sveglia … e poi mi piacciono le parabole. I denari, la pecora smarrita e il pastore, il trucco del vampiro che si nasconde nella mansarda e quella dei tre uomini in barca. Tante, sono quelle belle, anche se non le rileggo da tanto e a volte mi confondo.
Ma quella del figliol prodigo io da papà non la capisco.
Il figlio che lascia la casa del padre, se ne va, sperpera , poi torna, e il padre fa festa.
Forse,ho pensato quella sera , non la capisco perché in parrocchia veniva raccontata in forma succinta, allora mi sono procurato la versione integrale per meglio farmi una idea di cosa fosse in realtà successo. Eccola.
La parabola del figliol prodigo
…..E allora il figlio decise di lasciare la casa del padre. Si fece dare la sua parte di eredità e se andò. Prima di partire però, passò a salutare tutti gli altri della famiglia. Passò dal fratello che stava lavorando nel campo di rape e lo irrise tirandosi su la veste sul dietro e mostrandogli le mele, altresì gesticolò nei confronti del padre sventolando i diti medi, poi porse i saluti alla madre avvalendosi del suo collaudato pernacchio, e infine salutò la sorella stringendosi i genitali con forte sghignazzo e movimento a premere e mollare premere e mollare.
n.d.r. Notiamo insieme come questa versione più particolareggiata ci fa entrare, proprio, in quel tempo.
Ma andiamo avanti.
Prima di partire per sempre dalla casa che gli aveva dato i natali il figliol prodigo per buona misura diede foco alla coda del cane e lo mise nel recinto delle oche, e chiuse una vacca frisona nella toilette buttando la chiave.
Poi,soddisfatto, se ne andò per il mondo.
Quelli, invece, che restavano nella casa del padre, continuarono a mietere, marcare vitelli, foraggiare le giovenche all’alba e mungerle al tramonto. A battere il granturco svuotare le latrine castrare i tori e seminare il trifoglio. D’inverno grattavano la merda ghiacciata dai garretti dei cavalli perché non avessero a soffrirne, e la sera tutti pelavano rape fino a notte. Spesso accadeva, durante le ore buie, che a turno, uno dei fratelli, sentendo il frinire delle locuste, per paura che esse invadessero i campi e distruggessero il raccolto, uscisse a scacciarle a colpi di fischietto tenendo svegli tutti gli altri.
I figliol prodigo intanto viveva in un bordello, montava le pulzelle e giocava ai cavalli. Ogni tanto per pazziare, montava i cavalli e giocava a pulzelle. La sera fumava pipette magiche che lo mettevano di buon umore, poi sceglieva la più acerba fra le monache del convento e la proiettava sulla branda , e la copriva e la scopriva con gusto. Durante il giorno dormiva, e le notti le passava organizzando trenini dell’amore. Non di rado , qualche notte, per ridere, il birbante ritornava alla casa del padre di nascosto, e friniva come una locusta accanto alla finestra del fratello.
Ecco perché, una o due volte la settimana, il fratello buono si alzava e teneva svegli gli altri col fischietto anche se le locuste non c’erano.
Questa situazione durò per mesi e forse anni. Poi un giorno , al figliol prodigo finirono i soldi.
Così, per vivere, fece il mandriano per i porci. Ma per poco. Perché subito gli venne l’idea di tornare a casa del padre.
Tornò quindi, e il padre vedendolo gli corse incontro , lo abbracciò, lo riaccolse in casa e uccise il vitello grasso per lui. Fine.
E penso: quanto ancora ho da imparare, nell’amore per i figli, perché oggi come oggi, allo stato dei fatti, io un figlio così non so mica, se non lo gonfio di calci in culo?
Un racconto si racconta perché solitamente vi capita qualcosa di imprevisto, un colpo di scena o un fatto inconsueto, altrimenti per quale motivo lo si dovrebbe raccontare? Almeno, io la penso così. Ma nel racconto che state per leggere non c’è nulla di tutto ciò. Non accade nulla di speciale, così chi lo desiderasse lo può saltare, non mi offenderò. ... continua
Amici, sono con voi. Anche a me piacciono i racconti dove succede qualcosa, e le storie belle, piccole o grandi, corte o lunghe, sono quelle dove si sta col fiato sospeso.
In questa raccolta ce ne sono, sono tutte storie vere, come lo è anche quella che segue e che gli amanti della “trama” salteranno, come ho suggerito, a piedi pari. Perché non vi capita nulla di speciale. E’ solo la storia di due fra i giorni più belli della mia vita.
Eccola.
Era un inizio estate di parecchi anni fa. Giorgio, il mio amico di pesca e di avventure era salito da Roma su in Piemonte per qualche giorno , e una delle “strabilianti” idee che avevamo in mente era quella di passare un paio di giorni scendendo in canoa il mio fiume di adozione, l’Orco. E la nostra intenzione era di percorrere circa una quindicina di chilometri di fiume fermandoci ogni tanto a pescare.
Verso l’inizio di luglio di acqua sull’Orco ce n’è poca, la discesa prevista non comprendeva tratti difficili e sapevamo quindi che non saremmo andati in contro a forti emozioni.
Al massimo, cosa per altro successa più volte, si trattava di scendere in qualche punto e trainare la canoa per farla passare nei tratti in cui ci sarebbe stata meno acqua, e al più avremmo incontrato qualche piccola strettoia seguita da qualche turbolenza, ma la canoa avrebbe trovato la strada da sola.
Le canoe con un fiume in quelle condizioni sanno loro dove passare. O quasi, si fa per dire.
Così caricammo il bagaglio di ordinanza, e cioè un bidone dove stipare qualche cosa da mangiare, un altro dove mettere i sacchi a pelo e materassini, la borsa da pesca, qualche verme in una scatola, e le canne. Neppure la tenda, era prevista, date le previsioni di bel tempo stabile.
E fu davvero così, ve lo dico subito onde chi si aspettasse il nubifragio, il fiume impazzito e quant’altro, può, se ancora non l’ha fatto, passare al racconto seguente dove sicuramente qualcosa di più interessante per un Hemingway come me, dei poveri, capiterà, ma questa volta no. Giorgio ed io, lasciata un’auto all’arrivo, ci spostammo con un’altra auto verso il punto di partenza, e arrivati sopra Rivarolo scaricammo la canoa, la equipaggiammo e cominciammo a scendere.
Che acqua deliziosa, trasparente e perfetta. La canoa scivolava sopra la superficie e sotto si vedeva il fondo. Se non ci fossero ormai da anni i cormorani, quegli uccellacci nemici dei pesci e dei pescatori per la quantità spaventosa di pesce che riescono a mangiare, avremmo potuto veder sfilare sotto di noi qualche cavedano, le ormai scomparse lasche e una quantità di vaironi e alborelle.
Ma di giorno, coi cormorani pronti ad entrare in azione dall’alto, tuffarsi e nuotare sott’acqua alla caccia di pesciolini, i pesci se ne stavano, quelli rimasti, ben nascosti sotto le frasche e i rami sommersi della riva.
Ogni tanto c’era da manovrare per evitare qualche ostacolo, o per infilarsi nei treni di onde che nelle strettoie acceleravano la marcia. L’acqua era fresca, e sul fiume il caldo non si faceva sentire. Si trattava quindi di una condizione perfetta per gli umani.
La barca va da sé e non c’è bisogno di remare se non per correggere la rotta. Ci si guarda intorno osservando le sponde, selvagge e deserte anche se a due passi da Torino.
Le rive dell’Orco sono fatte di spiagge di sabbia, ma anche di rive alte coperte di boschi, o di lunghi tappeti di piccoli sassi.
Viaggiando non si vede una casa, neppure strade o persone. La meraviglia. L’occhio si accontenta di tre colori: il verde, il marrone e l’azzurro.
Soli, o mescolati fra loro nelle tante e diverse tonalità. Mentre la canoa va, Giorgio ed io si chiacchiera, si ipotizza la presenza di pesce, si studiano le curve del fiume man mano che si avvicinano per capire con anticipo se vale la pena di fermarsi prima di qualche buca più fonda e provare qualche lancio. Ogni tanto ci passiamo una sigaretta da prua a poppa con le movenze di chi costruisce castelli con bicchieri di cristallo e con l’attenzione di chi maneggia fili colorati collegati a un panetto di esplosivo. Non va spiegato, ma ricordo che sulla canoa non sono convenienti movimenti bruschi.
Riguardo la sigaretta, se vien fumata mentre la corrente del fiume ti porta a spasso, acquista un fascino speciale.
Intanto il fiume ci porta e il suo letto è quasi sempre visibile per la trasparenza dell’acqua e la scarsa profondità. Quando la velocità aumenta sotto si vedono scorrere i massi, e si percepiscono le mille correnti che incrociandosi sollevano spirali di piccoli granelli di sabbia sul fondo.
A volte si rallenta fino quasi a fermarsi e allora con un colpo di pagaia si cerca la vena della corrente per lasciare che sia il fiume a faticare. Per lui non è un disturbo, tutto preso com’è a correre per la sua strada.
C’è insomma una grande accoglienza, ed è come se quella piccola parte del mondo ci venisse incontro per lasciarsi vedere. Un regalo. Un regalo del cielo della terra e dell’acqua. Il tempo lì non ha più senso. Nulla ci impedisce di fermare il viaggio o continuarlo, nessun contratto, nessun impegno, nulla c’è da rispettare se non la propria volontà.
Un viaggio tranquillo.
Oddio sì, un piccolo fatto di qualche interesse in mattinata ci fu. Ad un certo punto ci trovammo davanti un albero caduto che tagliava quasi tutta la corrente del fiume. Sulla sponda destra restavano solo pochi centimetri di spazio non occupati dalle frasche, così dissi a Giorgio che di lì non si sarebbe potuti passare. Bisognava fermarsi, scostare la chioma dell’albero e far passare la canoa a mano, altrimenti c’era rischio di dare il giro, ma Giorgio mi rispose che il motivo di viaggiare in canoa era anche quello, vale a dire di rovesciarsi.
Non insistei. Puntammo verso la cima dell’albero appoggiata sulla sponda. Va detto a questo punto che la canoa era ed è un’ottima canoa gonfiabile tedesca, robusta e tosta. Bene. Come dicevo, puntai la punta della canoa verso la sponda per forzare il blocco, e arrivati in velocità a contatto con le frasche scoprimmo in un attimo che erano resistenti ed elastiche, e la sensazione fu quella del bagno imminente.
E invece no.
Non per me, almeno. La punta della canoa a contatto coi rami si flesse, poi si distese e sparò Giorgio che era seduto davanti direttamente in acqua. Pluff. Un attimo prima era bello asciutto e pronto ad affrontare qualsiasi peripezia, un attimo dopo era sparito sotto i rami ed era ricomparso con gli occhi affascinanti di un gatto in una vasca da bagno.
Ma era estate. Non ci fermammo che un paio di minuti per risistemare il carico e poi ancora avanti, di raschio in raschio, senza sapere che ora fosse.
Ora. Chiunque di noi anche senza consultare l’orologio del cellulare, sa. Pressappoco durante la giornata che ora possa essere. In canoa non è così.
Si percepisce a grandi linee se sia mattina pomeriggio o sera.
Chi non ha mai sceso un fiume in canoa mi invidi. Fa bene. Neanche ai Caraibi, si perde davvero la nozione del tempo. Ai Caraibi ci sono i giochi aperitivi.
E dicevo. Il viaggio proseguiva e ci si fermava a tratti per fare qualche lancio a cucchiaino, senza grosse speranze devo dire. Le trote a cui miravano i nostri tentativi nell’Orco c’erano e ci sono, ma si proteggono dai cormorani stazionando nel fondo e dove la corrente è più veloce, e a luglio, con poca acqua, se ne stanno offese da quegli infidi uccelli, svogliate e ben nascoste.
Qualche lancio dicevo, poi si ripartiva senza nulla di fatto.
Una birretta. La sosta la prevedeva. Lasciata qualche minuto nell’acqua fresca la birra, pure se calda, diventava appetibile. E ce ne stavamo coi piedi e le caviglie in acqua con un paio di brachette addosso , un paio di sandali, e qualche volta, se proprio era il caso, il giubbotto salvagente.
Verso la metà della giornata la speranza di pescare ci aveva abbandonato, e Giorgio aspettava seduto nella canoa arenata nell’acqua bassa che io qualche decina di metri più in là facessi i miei tentativi.
Così, camminando nell’acqua e su una sabbia finissima confortata da qualche sasso qui e là, mi avvicinai ad un enorme ceppo nel centro della corrente e che si era incastrato là durante una piena di primavera.
Un ceppo enorme del peso di qualche tonnellata, che pesante com’era se n’era rimasto lì al centro del fiume. E il fiume intorno, non potendo portarselo via, aveva scavato ai lati e a valle formando intorno al ceppo stesso una cornice di acqua blu più profonda. Se c’era una trota doveva essere lì. Pensavo. Al sicuro, sotto il ceppo o nelle vicinanze, regina del territorio. E c’era, santo bellissimo cielo. E si era scagliata da sotto il suo castello di legno per andare ad afferrare al volo quel pezzetto di metallo luccicante che roteando nell’acqua imitava una farfalletta improbabile. E adesso ne sentivo tutta la forza. Non, di una trotella, neppure di una trota gigante che avrebbe fatto di questo racconto qualcosa di importante. Una trota da un chilo. Modesta ma non trascurabile. Come me. Un uomo da un chilo. Felice di una trota da un chilo in un fiume da un chilo. Felice in quel momento così come voglio essere ancora in altri momenti da un chilo. Alla portata. Mi basta così. E mentre chiamavo Giorgio che non si muoveva, cercavo di tirarla fuori. Perché è così che fa un pescatore se aggancia il pesce. E quella invece se la filava a destra e a manca e Giorgio guardava le acacie. E io, che già stavo bene di mio, ero in paradiso. Non pesco per devastare i pesci, e neppure per liberarli. Pesco per mangiarli. Se pescando ne prendo due smetto e vado a casa. Certo potrei mangiare altro, ma la trota è buona. Signori. Come vedete da questo mio soffermarmi sull’argomento ho qualche scrupolo di coscienza ma non sufficiente dall’esimermi dal trattenere quella bella trota. Che dopo la lotta se ne è venuta stanca verso le acque basse e poi si è ritrovata sulla riva. E finalmente Giorgio è arrivato. Tardi per darmi una mano ce ne fosse stato bisogno ma tant’è.
Una trota iridea sbucata così in un giorno di luglio.
E la giornata non era ancora finita.
Il fiume ora si era diviso, e scegliemmo il ramo che pareva più rigoglioso d’acqua e che non ci deluse. A un certo punto il ramo si restrinse ancora e l’acqua si fece più profonda, si chiuse fra le chiome degli alberi e diventò un corridoio nell’ombra che rendeva misterioso il fondale, lo nascondeva, lo oscurava. E l’acqua era diventata blu. Ci fermammo in una spiaggetta con ciottoli e sabbia a sinistra del verso della corrente. Lì c’era un boschetto di querce e una buca di acqua più profonda. Pensai di ritentare un paio di lanci, ma ne bastò uno. E un’altra trota, più piccola e fario, la trota selvatica, la nostra trota italica in assoluto, la trota-trota, si lasciò catturare. Quattro etti circa. Basta, non si sarebbe pescato più. E ci sistemammo per la notte.
E c’è l’erba morbida, a un passo dalla spiaggetta. E tanta legna. Tirammo fuori dal bidone una bottiglia di vino la stappammo e ne bevemmo un po’. Nel bidone del cibo ci eravamo portati una griglietta. Mignon. Quando ancora c’era luce raccogliemmo legna per la cena e per il dopo.
Era secca, di fiume, ma ce n’era in abbondanza, bruciava in fretta ma era tanta. E avvolgemmo la trota più piccola nella carta stagnola, con un po’ di salvia sale e olio. La appoggiamo su un po’ di brace mentre il latte scuro del tramonto cominciava a nascondere le cose. Sul fiume è bello scoprire il momento del “non ci vedo più”. Per gustarselo bene, quando il sole cala, quando la velocità del buio prende l’abbrivio, si fissa un sassetto sulla riva. Si fissa e si fissa e intanto lui sparisce, poco per volta, e tutto diventa un latte nero e blu. E poi si va verso il fuoco che sgambetta e l’amico che lo preserva. Come preserva il fuoco Giorgio pochi lo sanno preservare. E’ una scienza. Un fuoco a semicerchio, che scalda e arrossa la scena. E la trota che cuoce, di lato. Nel suo involucro di stagnola. Che farà, sentirà il calore e si cuocerà? Lo sentirà troppo? Troppo poco? Quel giorno lo sentì in modo perfetto. La trota cotta meglio della mia vita in assoluto, e non sono di manica larga. Era rosolata e sfrigolava, pronta. Mangiammo trota, pane, e formaggio seduti vicino al fuoco, ci stendemmo sui sacchi a pelo appoggiati ai materassini e la mattina, dopo un caffè solubile scaldato sulle braci rintuzzate, risalimmo in canoa per arrivare a Chivasso, al ponte. Punto di arrivo del viaggio. Riportammo la trota più grossa a casa e la sera invitai i figli. Ecco tutto. Fine della storia. Perché, scriverla? Per me. Perché per quei cento anni mal contati che abbiamo da vivere, briciole che il passero del tempo becchetta a velocità supersonica, è bene ricordare quanto e come si è stati felici noi tutti, uomini e donne da un chilo.
Ci sono cose che si riescono a finire in fretta. Altre che magari ci metti un po’, ma poi riesci. Cose che si cominciano e si portano a buon fine. Cose che ti sembra che non possano finire, chi ha fatto la naia lo sa. Si contano le ore, sembra che non passino mai, ma poi anche la naia finisce.... continua
Quando hai dodici anni finiscono persino le estati, che in quel periodo della vita ti sembrano un mondo a parte che non terminerà mai più.
Finiscono gli amori. Finiscono le scuole.
Solo l’Attack, non si riesce a finire.
Né in tubetto ne in flacone né in nessun modo. Finisci bene le prime due gocce. Quelle le finisci proprio ben bene la prima volta che lo usi per incollare il manico alla tazzina.
Le prime due gocce vanno giù come il miele.
E poi però il resto non lo finisci più. Lo guardi soltanto.
Guardi l’Attack traverso il flacone trasparente, lo guardi per vedere se è ancora ben liquido e lo è, lo senti traverso il tubetto per capire se è ancora ben molle e lo è, ma di sicuro non esce più. E’ in esposizione. A noi la ditta Attack vende le prime due gocce, il resto ce lo mette in vetrina.
E il bello è che noi poi la andiamo a vedere, questa vetrina. Ogni volta che ci serve di incollare qualcosa. L’Attack lo cerchi in frigo, perché ti hanno insegnato a tenerlo lì, e quando lo trovi sei contento, perché guardando il recipiente in controluce vedi che ce n’è ancora.
”CE N’E’ ANCORA!!” esclami felice di essere imbecille . E certo che ce n’è, e sempre ce ne sarà, perché non è finibile, l’Attack. E’ perpetuo.
E mica lo butti? E no. Speri che la volta dopo esca. Non si sa per quale perché. E poi ci sono i furbi.
Quelli che sanno come si fa perché mettono lo spillino nel buco.
“IO METTO LO SPILLINO NEL BUCO”.
A SI’? BELLA STORIA. METTILO? LO SPILLINO NEL BUCO? COSI’ LO INCOLLI. HAI POI LO SPILLINO INCOLLATO NEL BUCHINO.
MA IO, COMPERO COSE CHE POI DEVO METTERCI LO SPILLINO?
MA I SOLDI CHE IO TI DO’, ATTACK, TU, ME LI DEVI TIRARE FUORI CON LO SPILLINO? O VENGONO FUORI CASH? MA IO, OLTRE CHE PAGARLA, DEVO PREGARLA, LA GOCCIA DI ATTACK PERCHE’ ESCA? E’ l’unica cosa che comperiamo e che non sappiamo, se ma soprattutto quanto la useremo. Con l’Attack foraggiamo un mercato di speranze.
Se torni dal pescivendolo con una spigola nel sacchetto ma non riesci a tirarla fuori, ti incazzi.
Con l’Attack quasi non ti incazzi più. Lo giustifichi. “Ehh….è attack…” ti viene dire. Quasi ti rassegni. “oggi incolla, domani no, dopo domani neppure…”
E QUANDO NON NE PUOI PIU’ E USI LE TRONCHESI?
CHE TAGLI VIA LA PUNTA E IL BUCO SI ALLARGA E NE ESCE UNO SBOCCO E PREGHI DI AVERE TANTE COSE DA ATTACCARE FINCHE’ LO PUOI E NON TI VIENE IN MENTE NIENTE OLTRE A QUEL CINTURINO DI OROLOGIO SCUCITO CHE VOLEVI RIPARARE E GIRI PER LA CASA CON L’ATTACK PUNTATO VERSO LA QUALSIASI SPERANDO CHE SI ROMPA QUALCOSA AL VOLO?
Non sono un genio. Scrivo cagate per vivere e so fare ben poco di altro. Chi mi conosce lo sa, non affidatemi oggetti meccanici che abbiano un difetto. Lo peggioro. I ragionamenti compositi non fanno per me, i test di intelligenza mi angosciano e quelli poi in cui bisogna infilare pezzi di legno uno nell’altro, i cosiddetti giochi istruttivi o il cubo di Rubik mi fanno paura per quanto mi riconosco inadeguato. Ma se viene in mente a me, che si potrebbe confezionare l’Attack in piccole porzioni monodose, come già ci sono per il collirio, cosa vuol dire, che lì nell’Attack come ditta, si sono radunati per lavorare tutti insieme i migliori coglioni del mondo?
Fra i tredici e quattordici anni i tuoi figli non sai bene cosa siano. Sembrano adulti fatti e poi fanno una fesseria colossale. Sembrano bambinetti e poi ti inchiodano con un ragionamento da filosofo. Bé, oggi per caso ho trovato un bel sistema per capire fino a che punto i nostri ragazzi sono dentro alle cose adulte del mondo. ... continua
Ieri per radio stava andando in onda “Let it be”. E ho detto a mio figlio: ti faccio un indovinello. Metti che di colpo ti arrivi una grossa eredità.
“Dai”, mi ha risposto per la verità un po’ scettico.
“Se di colpo tu diventassi erede di una grossa fortuna”.
“Dai”, ha seguitato scettico più che mai. Ma io fermo ho proseguito.
“E il notaio che si occupa del testamento ti dice: senta signor Tosco, oltre a lei ci sono altri aventi diritto, quindi lei può scegliere: preferisce due palazzine in centro Roma, una villa a Viterbo con annesso giardino e un piccolo appartamento mansardato a Manhattan, o i diritti d’autore di Let it be?” Prima che finissi la domanda mio figlio aveva già risposto: “Manhattan papà sei fuori?”
“Che pistolino”, pensai con affetto. Non capisce ancora un cazzo.
Guarda Rosina. Guarda Rosina, che va a scuola dalle suore? Guarda Rosina,che bei voti porta a casa , guarda. Perché tu non fai come Rosina?... continua
Guarda Rosina come sta in casa a studiare, invece che andare sempre a giocare con le amiche. Perché non fai come Rosina?
Guarda Rosina che non usa il motorino, che non esce la sera, che non va coi ragazzi.
Che ha fatto due anni in uno e va già all'università?
Perché non fai come Rosina?
Guarda Rosina che coi risparmi, si paga il corso di inglese, non fuma, e fa danza classica?
Perché non fai come Rosina?
Guarda Rosina che è la prima del corso, che non perde tempo, che non si fa i tatuaggi, che non va in giro con quei piercing?
Perché non fai come Rosina?
Guarda Rosina, che adesso si buca e prende il metadone?
Perché non metti su canale cinque che vediamo il meteo?
Pescate quattro trote. A mosca o col verme. Trote di acqua pulita. Del Soana, dell’Orco, del Chiusella del Volturno del Velino o del fiume che volete voi. Se non avete dimestichezza con la pesca potrete sempre comperarle al mercato. ... continua
E sarà peggio per voi. Perché alle trote di allevamento danno il mangime come ai polli.
Supponiamo però, che le trote che comperate al mercato siano davvero meravigliose come di sicuro sosterrà quello che le vende.
Supponiamo, come di certo vi dirà il venditore, che le sue vengano da un allevamento servito dall’acqua di un ruscello. E che voi ci crediate.
Se sta bene a voi.
E’ una ricetta, questa.
E non ho nessuna intenzione di essere trascinato nella polemica sulla trota pescata e quella di allevamento.
Pulite le trote. Non è necessario squamarle perché le trote non hanno squame. Se il peso delle trote supera i due etti e mezzo, le cucinerete dopo averle tagliate in tre o quattro pezzi ognuna. Altrimenti, se sono di due etti e poco più, tenetele intere.
Anche se alla fine è garantito che faranno la loro figura, intere o a pezzi, in ogni modo.
Infarinatele e friggetele con poco olio di oliva. Salatele e mettetele da parte.
Buttate via l’olio con cui le avete fritte, e in una padella pulita soffriggete con poco olio tondini di cipolla rossa e salvia. Abbondanti. Salate anche lì.
E adesso viene il bello. Nella padella, quando la cipolla è ancora duretta, aggiungete mezzo litro di aceto e mezzo di vino, di più o di meno a seconda di quante trote avete. Per quattro trote da due etti direi che mezzo litro di vino e mezzo di aceto vanno bene.
Fate cuocere per tre o quattro minuti aceto olio vino cipolle e salvia e poi versate tutto a caldo in una terrina capiente in cui avrete messo le trote già fritte. Il liquido deve coprire bene tutto quanto. E poi aspettate. Anche due giorni. Tenendo tutto in frigorifero. Se il sale e l’aceto sono giusti, sarà uno spettacolo di colori e di gusto. Io ho fatto così per qualche salmerino pescato questa estate in un laghetto che so io. E adesso ho per amico un inserviente degli impianti di sci che mangerebbe solo quello. Bonasera. Beppe tosco
p.s. Se siete pescatori di tinche potete operare come sopra descritto cambiando l’ingrediente “trota” con l’ingrediente “tinca”.
Con l’amico Leandro abbiamo immaginato un libro fatto di libri che non esistono. Un lavoro che si diverte a fare il verso ai generi di libri più venduti. Leandro ha disegnato le copertine ed io ho scritto un capitolo per ogni copertina. Insomma, una specie di esercizi di stile. Ma si fa prima fare un esempio, che stare a chiacchierare del niente. Così ne pubblico uno, di questi capitoli. Io e Leandro prima di terminare il lavoro stiamo aspettando che un editore ci dica di sì . Quando leggono, si divertono molto tutti ma nessuno lo compra. Perché? La risposta sacrosanta è questa: la gente non compera libri, figuriamoci un libro che parla di libri. E così, aspettando che si vendano più libri, Leandro ed io ce lo teniamo. ... continua
CUORI SPESSI
Di
Mutwin Bayeer
Edizioni Scappella-Moirotti
OLTRE L’AVVENTURA
Sessanta storie sfortunate di uomini eccezionali che si sono cimentati in imprese ai limiti dell’impossibile.
Una raccolta da non perdere. Le sessanta più straordinarie storie di sacrificio e ardimento ai confini dell’umano.
Da sempre l’uomo sfida i suoi limiti. Sul mare sul ghiaccio nei deserti e sulle vette. La letteratura racconta le gesta di questi eroi con resoconti drammatici e leggendari, ma mai come in questa raccolta si è sfiorato il confine fra mito, leggenda, e realtà.
CUORI SPESSI
“Cascata di ghiaccio”, “La Morte bianca”, “Asfissia”, “Stalattiti”, “Aria Fredda”, “La tana nelle nevi” e “Coriolano dai piedi di ghiaccio ti è partito il plafond” sono solo alcuni fra i racconti dell’estremo contenuti in “Cuori spessi” . Per il piacere dei suoi lettori la Scappella-Moirotti edizioni concede ai nostri lettori un capitolo di libera lettura
HANAN-GARANGA, LA VETTA DI GHIACCIO!
Harmaraya, Stangaparma, Hsiuk, Oventosa, tutte cime sopra gli 8.000. Ecco elencate solo alcune delle vette raggiunte da Arnold Zwaitratiier, guida alpina di fama internazionale, alpinista coriaceo e provetto che conta al suo attivo nove ottomila della catena Himalayana e due prime in assoluta pakistane, l’Anduma e il Turnuma.
HANAN-GARANGA, LA VETTA DI GHIACCIO racconta i tormenti e la drammatica ascesa in solitaria dell’Hanan-Garanga, che in dialetto indiano significa “Oggi niente pesce”.
Durante l’ascensione che lo avrebbe portato dal campo base situato a 7.600 metri alla vetta Arnold, sorpreso da una tormenta, è costretto ad accamparsi e trascorrere due giorni e due notti in una tendina da campo.
Le condizioni sono estreme, e purtroppo nel corso della prima notte Arnold subisce il congelamento di due falangi della mano destra e di due dita del piede sinistro.
Durante la seconda notte all’addiaccio l’alpinista perde un orecchio per il freddo e la mattina successiva durante l’ascensione in condizioni estreme subisce il congelamento del naso e riporta una necrosi alla gamba destra.
Consapevole di non poter continuare Arnold, con lacrime ghiacciate che gli solcano il viso scavato dalla sofferenza, è costretto ad abbandonare.
Presa la via del ritorno in un viaggio estenuante Arnold rientra da solo a Katmandù con un cammino doloroso di sei giorni. In ospedale i medici disperano di salvarlo ma la sua forte fibra gli permette di sopravvivere e recuperare buona parte delle parti congelate, e dopo una lunga convalescenza le sue condizioni gli consentono di far ritorno in Italia. Ma Arnold non si rassegna, e dopo sei anni decide di ripartire per la vetta dell’ Hanan-Garanga.
Un pensiero fisso riempie i sogni di Arnold, quella montagna gli ha rubato tre dita e lui ruberà la vetta di quella montagna.
Ma la fortuna ancora una volta non lo assiste. Nell’ascesa al campo base una nuova tormenta lo coglie e i venti che soffiano a grande velocità con temperature inferiori ai quaranta gradi gli congelano gli arti inferiori e la lingua, e questa volta per Arnold non c’è più nulla da fare. Se hai già scongelato non puoi più congelare un’altra volta, lo sanno tutti. Se scongeli una volta poi non puoi, ricongelare, devi buttare via. Delle volte spiace ma a non farlo si rischia davvero tanto. Ancora ancora se è verdura passi, ma carne e pesce li devi buttare, è pericolosissimo. Al ritorno di Arnold i medici sono stati costretti a buttarlo nel cassonetto.
Therald tribune: “Senza parole. Storie come “La brina nei polmoni” “Lo sfinimento di Oreste” e “Hanan Garanga” ti lasciano senza fiato ed allora è giusto dirlo: Conrad è passato di moda”.
Dello stesso autore: “Appeso a un ciuffo di muffa” e “Mi manca l’aria”.
CUORI SPESSI
Di
Mutwin Bayeer
Edizioni Scappella-Moirotti
OLTRE L’AVVENTURA
Sessanta storie sfortunate di uomini eccezionali che si sono cimentati in imprese ai limiti dell’impossibile.
Una raccolta da non perdere. Le sessanta più straordinarie storie di sacrificio e ardimento ai confini dell’umano.
Da sempre l’uomo sfida i suoi limiti. Sul mare sul ghiaccio nei deserti e sulle vette. La letteratura racconta le gesta di questi eroi con resoconti drammatici e leggendari, ma mai come in questa raccolta si è sfiorato il confine fra mito, leggenda, e realtà.
CUORI SPESSI
“Cascata di ghiaccio”, “La Morte bianca”, “Asfissia”, “Stalattiti”, “Aria Fredda”, “La tana nelle nevi” e “Coriolano dai piedi di ghiaccio ti è partito il plafond” sono solo alcuni fra i racconti dell’estremo contenuti in “Cuori spessi” . Per il piacere dei suoi lettori la Scappella-Moirotti edizioni concede ai nostri lettori un capitolo di libera lettura
HANAN-GARANGA, LA VETTA DI GHIACCIO!
Harmaraya, Stangaparma, Hsiuk, Oventosa, tutte cime sopra gli 8.000. Ecco elencate solo alcune delle vette raggiunte da Arnold Zwaitratiier, guida alpina di fama internazionale, alpinista coriaceo e provetto che conta al suo attivo nove ottomila della catena Himalayana e due prime in assoluta pakistane, l’Anduma e il Turnuma.
HANAN-GARANGA, LA VETTA DI GHIACCIO racconta i tormenti e la drammatica ascesa in solitaria dell’Hanan-Garanga, che in dialetto indiano significa “Oggi niente pesce”.
Durante l’ascensione che lo avrebbe portato dal campo base situato a 7.600 metri alla vetta Arnold, sorpreso da una tormenta, è costretto ad accamparsi e trascorrere due giorni e due notti in una tendina da campo.
Le condizioni sono estreme, e purtroppo nel corso della prima notte Arnold subisce il congelamento di due falangi della mano destra e di due dita del piede sinistro.
Durante la seconda notte all’addiaccio l’alpinista perde un orecchio per il freddo e la mattina successiva durante l’ascensione in condizioni estreme subisce il congelamento del naso e riporta una necrosi alla gamba destra.
Consapevole di non poter continuare Arnold, con lacrime ghiacciate che gli solcano il viso scavato dalla sofferenza, è costretto ad abbandonare.
Presa la via del ritorno in un viaggio estenuante Arnold rientra da solo a Katmandù con un cammino doloroso di sei giorni. In ospedale i medici disperano di salvarlo ma la sua forte fibra gli permette di sopravvivere e recuperare buona parte delle parti congelate, e dopo una lunga convalescenza le sue condizioni gli consentono di far ritorno in Italia. Ma Arnold non si rassegna, e dopo sei anni decide di ripartire per la vetta dell’ Hanan-Garanga.
Un pensiero fisso riempie i sogni di Arnold, quella montagna gli ha rubato tre dita e lui ruberà la vetta di quella montagna.
Ma la fortuna ancora una volta non lo assiste. Nell’ascesa al campo base una nuova tormenta lo coglie e i venti che soffiano a grande velocità con temperature inferiori ai quaranta gradi gli congelano gli arti inferiori e la lingua, e questa volta per Arnold non c’è più nulla da fare. Se hai già scongelato non puoi più congelare un’altra volta, lo sanno tutti. Se scongeli una volta poi non puoi, ricongelare, devi buttare via. Delle volte spiace ma a non farlo si rischia davvero tanto. Ancora ancora se è verdura passi, ma carne e pesce li devi buttare, è pericolosissimo. Al ritorno di Arnold i medici sono stati costretti a buttarlo nel cassonetto.
Therald tribune: “Senza parole. Storie come “La brina nei polmoni” “Lo sfinimento di Oreste” e “Hanan Garanga” ti lasciano senza fiato ed allora è giusto dirlo: Conrad è passato di moda”.
Dello stesso autore: “Appeso a un ciuffo di muffa” e “Mi manca l’aria”.
Comincio a fare teatro per una serie di improbabili circostanze. Così schivo la Fiat e il lavoro di perito chimico per un pelo. E da allora non smetto più, passando per i più importanti teatri stabili.
Dopo una raffica di provini su parte riesco ad accaparrarmi il ruolo di Mercuzio in "Giulietta e Romeo" con la regia di Giancarlo Cobelli e per il Veneto Teatro.
Nasce mia figlia che amo.
Correndo nei corridori sotterranei della Rai di Torino mi scontro con Luca Ronconi. Mi spavento e per darmi un tono gli chiedo “Che stai facendo?”. Io a lui. Di solito se va bene avviene il contrario. Due mesi dopo mi fa cercare e mi offre un ruolo importante in “Misura per misura”. Nello stesso anno Comincio a scrivere per la Littizzetto e vinco il Concorso Nazionale per i racconti comici indetto dal Comune di Savignano sul Rubicone. L’unico concorso a cui io abbia mai partecipato. Il premio è di un milione. Esco dal parcheggio dopo aver ritirato il premio, e in retromarcia centro un paletto di ferro con catenella. Danno: un milione. Torno a casa.
Vinco l'Oscar per la radio per la sezione Varietà.
Nasce mio figlio Francesco. Amo anche lui.
Mi compro casa a Torrita Tiberina, posto fuori del mondo. Sulla strada passano i granchi di fiume.
In Corsica, in vacanza con mio figlio, mi rompo una vertebra. Una storiaccia. Ma mi fa venire voglia di provare a scrivere libri.
Nasce il figlio di Stella e Ivan, mio nipote. Tempo due anni e ci penso io.
Via Tiberina Km 38, Torrita Tiberina ROMA.
Via Verdi 6, Castagneto Po TORINO.
Ogni tanto mi capita di stupirmi di qualcosa, si, giusto qualche volta. Oppure di arrabbiarmi o divertirmi molto! Allora scrivo, per me, così, in velocità, per il piacere di farlo. Per poi condividere, sentire cosa ne pensano gli amici, o chi non conosco.
Buongiorno , amici di facebook! Sito nuovo vita seminuova. ... continua
Intanto buongiorno o buonasera a tutti. Spero che stiate leggendo rilassati e di buon umore. ... continua
© 2017 Beppe Tosco | Partita Iva 00809931009 Credits